Casale a Marrakech: esotismo e design

di Redazione Ville&Casali

Casale a Marrakech

Lontano dalla folla variopinta della città e dei riad chiusi della medina, sorge da tempo un antico edificio in mezzo alla natura, a poche centinaia di metri dalla città rossa. Il casale a Marrakech aveva tutto il fascino di una casa familiare, a condizione che venissero rivisti gli ambienti, e la storia potesse svolgere di nuovo il suo corso, al ritmo lento delle vacanze di chi avrebbe dovuto abitarla.

 

Casale a Marrakech tra alberi e sabbia

Casale a MarrakechTotalmente immersa nella natura, l’antico casale ha dovuto trovare un compromesso con gli alberi che lo circondavano per poter ingrandire i propri spazi. Senza rompere con i metodi tradizionali che mischiano la paglia e la terra d’ocra, il vecchio edificio si è dotato di nuovi ambienti costruiti come un puzzle intorno al patio esistente.

Da una parte in lunghezza, dando vita a due ampi saloni aperti che si fronteggiano, separati semplicemente da un grande camino collocato lì per riscaldare le giornate fredde dell’inverno.

Dall’altra in altezza, allo scopo di accogliere le camere fiancheggiate da terrazze che gettano lo sguardo sulle cime innevate dell’Atlas (il sistema montagnoso dell’Africa del nord che va dal Marocco alla Tunisia).

Una dimora baciata dal sole

Delle lunghe gallerie, a volte ricoperte di pergolati, a volte di tetti finemente lavorati, cingono la casa abbacinata dal sole e permettono di accedere a tutti gli spazi del pianterreno. La scala esterna permette di conquistare la freschezza delle camere, tutte simili nella loro bella semplicità.

Collocata davanti, nel prolungamento del salone, la piscina a sfioro sembra più grande della casa.

Qui, in una natura intatta, tra palme e bianchi roseti, fa bella mostra la fontana in pietra del patio, dove si può godere il piacere delle belle giornate, lontani dalla città.

Rinasce la residenza antica

Casale a MarrakechIl nuovo casale è stato intonacato con l’antica tecnica del tadelkat da parte di artigiani locali.

Il nome tadelkat deriva dal verbo “dlek”, che in arabo significa “massaggiare, impastare”. Si tratta di pura calce al cento per cento prodotta artigianalmente, che viene lavorata e stesa sulle superfici, levigata con un sasso e trattata con sapone alle olive e cera d’api. Chi pratica questa tecnica, tramandata di padre in figlio dal V secolo a.C si chiama maalem e dovrà dar prova di pazienza e di grande passione. Il tadelkat è infatti il simbolo di una cultura, il modo di vivere del popolo berbero, è ricerca di fascino ed armonia.

Nell’antichità questa tecnica veniva utilizzata per impermeabilizzare le cisterne per l’acqua potabile. In seguito venne usata negli hammam ed infine nei palazzi. Il tadelkat è stato usato in questa costruzione marocchina sia nei bagni sia nella camera da letto, come base del letto. L’obiettivo è stato quello di sostituire le classiche piastrelle e creare ambienti naturali, prestigiosi, ricchi di calore. Come i divani bianchi disegnati da Sarah Lavoine che si fronteggiano in perfetta simmetria nel living, conferendo armonia al centro dell’abitazione.

Lo stile di Sara Lavoine

Casale a MarrakechSarah Lavoine, discendente di una famiglia nobile polacca, è una designer e decoratrice d’interni francese, figlia di Jean Stanislas Poniatowski, per molto tempo direttore di Vogue, e di Sabine Marchal, decoratrice. All’inizio collabora con l’architetto d’interni Francois Schmidt poi nel 2000 crea la sua società, Sarah Lavoine, che si occupa di arredare case, appartamenti, alberghi, negozi. Nel 2009 crea una collezione di mobili e accessori per La Redoute e nel 2010 pubblica il libro “Architettura d’interni” (edizione La Martinière) ed apre la sua prima boutique a Parigi cui ne seguirà una seconda nel 2012, in contemporanea con il lancio di una propria collezione di oggetti di arredamento. Sarah Lavoine preferisce lo stile contemporaneo ma ricco di calore. Ama giocare con i colori, i tessuti ed i mobili per realizzare ambienti moderni e naturali, uno stile che la distingue.

 

 

 

a cura di Enrico Morelli

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