Vino italiano: ottant’anni di gusto
“Made in Italy” è arte, storia, cultura. Un patrimonio indissolubilmente legato anche al mondo dell’enogastronomia. Un prezioso indotto di eccellenza che richiama i turisti da ogni parte del mondo, grazie a terroir italiani unici nel loro genere.
In questo contesto di eccellenza si inseriscono i vini di Santa Margherita Gruppo Vinicolo che vanta oggi cantine e vigneti propri in alcuni dei migliori e più vocati terroir italiani.
In Toscana, ad esempio, è presente da diversi decenni: la prima acquisizione risale al 1993 con Lamole di Lamole, nel Chianti Classico – 177 ettari, di cui 57 a vigneto e 4 a uliveto – alla quale si è aggiunta nel 2002, Sassoregale, in Maremma, tenuta di 38 ettari, dei quali 30 a vigneto.
Di più. Il nuovo polo di Greti, nel comune di Greve in Chianti, inaugurato lo scorso giugno, rappresenta oggi il nucleo operativo e logistico in Toscana del Gruppo. Qui sono state accorpate e razionalizzate le fasi più importanti, in un unico centro di lavorazione dotato di tecnologie all’avanguardia, tra imbottigliamento e stoccaggio, cantina per l’affinamento in legno e in acciaio, nonché una sezione sperimentale dedicata all’affinamento in cemento e in bottiglia.
Ma non è finita. Sempre in quest’area, per rafforzare ancor di più il legame col territorio, sorge il nuovo wineshop, il primo del gruppo, comprensivo di ristorante.
È proprio il caso di scrivere che l’inaugurazione del nuovo Polo Santa Margherita Tenimenti Toscani è un bel modo di festeggiare gli ottant’anni del gruppo vitivinicolo veneto che punta alla conversione al biologico e al consolidamento sui mercati esteri. Un territorio, quello toscano, dove il Sangiovese è il principe di queste zone, ancor più pregiato nel Chianti Classico (ben diverso dalla più ampia area del Chianti, come specificato dallo stesso consorzio) e dove “Lamole” è “la zona del vino più buono”.
“Il vino di Lamole è pieno di storia, gli antichi romani venivano qui. Amo l’Alto Adige, ma sono anche innamorato della Toscana. Io guardo molto la passione degli uomini che fanno il vino e che dedicano la loro vita a questo mondo. Ci vuole passione, altrimenti non si va da nessuna parte”, commenta Stefano Marzotto presidente della holding di famiglia (Zignago holding) che aggiunge: “Da oltre due anni stiamo lavorando a questo nuovo progetto tra documentazioni e cavilli. In Italia, di certo, la burocrazia non aiuta”. Chi la dura la vince, comunque.
Malgrado le difficoltà, il nuovo Polo è stato inaugurato. Qui nulla è lasciato al caso. Accanto alle viti, ad esempio, sono state collocate pietre bianche che riflettono la luce del sole, favorendo la fotosintesi e nella notte ritrasmettono il calore accumulato di giorno, creando una salutare escursione termica. Altra accortezza: poca vegetazione in vigna per limitare gli attacchi dei funghi alle piante, niente concimi, ma solo autoproduzione di compost (i tralci di fine potatura vengono triturati e fatti fermentare), raccolta dell’uva a mano, risparmio sull’uso dell’acqua.
Il Gruppo continua a perseguire la strada dell’ecosostenibilità, che fa la differenza come operatori del vino. Un atteggiamento che rispetta l’ambiente e la biodiversità del territorio è di certo più difficile, ma che alla lunga paga.
Ciò non vuol dire, però, rinunciare alla tecnologia. Anzi. Qui, ad esempio, si utilizza un nuovo macchinario con selettore a lettura ottica con tanto di telecamera, che controlla dall’alto tutti gli acini e scarta con un soffio d’aria tutto quello che non va bene (tra colore, dimensione, rottura dell’acino, vinaccioli, pezzi di raspi o acini avvizziti). Una “full immersion” toscana dove l’italianità raggiunge vette importanti e l’emozione per il vino è ai massimi livelli. E che, soprattutto, val bene una visita.
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