Una poetica resistenza a Erice

di Redazione Ville&Casali

C’era un edificio ai piedi della montagna di Erice. Sorgeva isolato tra campi di ulivo, aranci e nespoli, punteggiati da palme. Una masseria rurale che da queste parti chiamano bagli. Di questi, una parte è quella destinata alle abitazioni. Del padrone, della servitù e dei contadini. La casa di Mariarosa non era quella. L’altra parte dei bagli era solitamente destinata alle attività produttive: il vino, l’olio, il grano, le derrate oppure agli animali e ai carretti. Questa era, per l’appunto, la porzione che adesso è di Mariarosa. Abbandonata da un secolo, stava cadendo in rovina, mentre il podere progressivamente veniva frazionato per tirare su palazzi di speculazione edilizia in una campagna che velocemente diventava periferia urbana.

Depredato di tutti quegli attributi di presunta qualità che il mercato antiquario ricicla come oggetti di feticismo pseudostoricistico (il frantoio con le macine, le botti, le grate in ferro e perfino i blocchi di arenaria intagliata), quel che rimaneva era pronto per essere raso al suolo se non fosse intervenuta la poetica resistenza di Mariarosa e della sua bella famiglia: un marito, tre figli, un po’ di cani e gatti, ben consapevoli della qualità di un vivere in rapporto col cielo stellato piuttosto che col solaio del vicino di appartamento. “Oggi questa esperienza”, racconta l’architetto Vito Corte, autore della trasformazione, “potrebbe essere raccontata come un non restauro”. E’ un dato, infatti, che per questo edificio non si sia pensato solo a mantenerlo, a ripararlo, a ricostruirlo.

L’idea è stata quella di riportarla ad una condizione completa che potrebbe non essere mai esistita. “La ristrutturazione del fabbricato è stata integrale”, conferma l’architetto Corte. “Dal consolidamento strutturale alla ricostruzione, attraverso le trame della tradizione costruttiva locale (per gli archi in calcarenite, per i solai in legno, per le murature in pietra e in conci di tufo), dell’impiantistica, della domotica, della sostenibilità ambientale (la casa è quasi autosufficiente grazie al sistema fotovoltaico ed al riciclo delle acque piovane, mentre grazie ad un sistema di circolazione a depressione dell’aria non c’è bisogno di impianto di climatizzazione) e dell’interior design”.

La committenza desiderava che la nuova casa potesse finalmente accogliere un cospicuo patrimonio di famiglia consistente in arredi antichi, suppellettili, tappeti, argenterie ed oggetti di pregio, molti libri (la biblioteca ancora non è stata collocata) e, infine, una discreta collezione di opere su tela e tavola di artisti minori, moderni e contemporanei. “Gli intonaci esterni”, prosegue l’architetto, “sono stati realizzati sperimentando efficacemente il cocciopesto con base bianca, piuttosto che quello stucchevole rosa che ormai invade le superfici murarie ed è imposto da sbrigative prescrizioni di certe Soprintendenze. Il risultato è stato ottenuto semplicemente sottoponendo le pareti ad un accurato procedimento di spugnatura, fresco su fresco”.

Tutti gli interni sono stati, invece, rifiniti con un intonaco a base di calce stagionata e polvere di marmo, con ultimo trattamento ad encausto con cera d’api. I pavimenti del piano terra e del ballatoio sono in basole di pietra di Custonaci, collocata a correre, mentre quelli del primo piano e della mansarda sono in rovere. Diffusamente utilizzata per vari scopi è stata la lamiera di acciaio cor-ten: per il camino, le scale, le ringhiere, i telai delle porte (le ante sono invece in vetro, con maniglie in cuoio) e l’attacco a terra delle pareti. Nei bagni, a parte le generose dimensioni di alcune cabine doccia, sono stati utilizzati marmi africani per i rivestimenti ed i lavabi. Per tutti, tranne che per una coppia di lavabi in vetro, disegnati apposta per gli ospiti. I corrimano rivestiti da pelle di vitello a pieno fiore e cuciti a mano da un artigiano locale, sono invece un omaggio a Sven Silow, amico dell’architetto Vito Corte, oltre che architetto di Re Gustavo di Svezia, che ebbe il vezzo di rivestire così i corrimano del suo Parlamento di Stoccolma: una carezza tiepida per la mano.


di Marco Milani

foto di Baldo Messina

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